«Il bello della cucina italiana è che, da Bolzano a Palermo, la regionalità cambia di casa in casa». Bruno Barbieri ci fa riscoprire il gusto della buona tavola, tradizionale e creativa

Lo chef Bruno Barbieri, giudice di MasterChef e autore del libro Via Emilia, via da casa

«Cucinare per gli altri è un’emozione, significa farli entrare nella tua intimità: ai fornelli bisogna potersi sentire completamente a proprio agio». Nel libro Via Emilia, via da casa Bruno Barbieri percorre un viaggio dalla sua infanzia bolognese alla sua carriera da chef, passando al successo in tv come giudice del fortunatissimo programma MasterChef. Tante ricette e piatti che raccontano la cucina emiliana e quella internazionale. Un gusto raffinato in tavola che si arricchisce di profumi e sapori insoliti, scoperti in giro per il mondo. Bruno Barbieri racconta così la sua passione per la cucina, nata in una terra in cui il culto della buona tavola viene tramandato di generazione in generazione.

Quali piatti associa ai suoi ricordi legati all’infanzia trascorsa a Piccolo Paradiso e quali sono le ricette che ripropone più volentieri?

«Molti sono i piatti che associo a quei ricordi: dalle tagliatelle ripassate al galletto alla cacciatora, alle pappardelle con le spugnole, ai tagliolini con burro di panna e tartufo, ai tortelloni con ricotta e ortiche, alla salsiccia matta con l’umido di verze, i sughi nel periodo della vendemmia, passando dalla saba con ravioli di marmellata di pomodori verdi. Riproporre quelle ricette oggi sarebbe un po’ improponibile, ma sono spunti per ricreare ricette adeguate ai nostri tempi».


Da chi della sua famiglia ha preso la passione per la cucina e ritiene giusto dire che la sua carriera è stata più segnata dalle sue origini o dai viaggi che ha fatto?

«Ha presente Il pranzo di Babette? Ecco mia nonna era così! Sempre attenta alla storia gastronomica, era veramente una grande chef, nonostante facesse solo la perpetua arzdora di una piccola chiesetta sulle colline bolognesi, lei è stata quella che più mi ha ispirato e spinto su quella strada. Vedere da bambino come si faceva il pane, come si facevano i formaggi e pensare che a giorni alterni andavano girati per fargli prendere aria e far si che si formasse la crosta giusta. Ogni giorno era un’interrogazione sulla stagionalità di frutta e verdura, sui colori e sui sapori della materia prima. Per me fin da bambino il tartufo era un profumo e non una puzza! Poi chiaro che i miei viaggi hanno segnato profondamente il mio sviluppo gastronomico».


In quale ristorante o trattoria in Emilia-Romagna si possono ancora assaporare quei sapori?

«In molte trattorie si possono assaporare ancora quelle delizie e quei profumi di una volta, ad esempio alla trattoria Civichella di Castel San Pietro Terme, alla trattoria Collegio di Spagna a Bologna, dall’Agnese Castel Guelfo di Bologna. La cosa che più mi piace è però che sono cambiate anche alcune formule di ristorazione, ad esempio puoi mangiare dentro le pescherie o andare in macelleria, come da Ferretti Luigi a Reggio Emilia, e capire che dietro a una semplice macelleria esiste un mondo: la ricerca delle carni dei tagli vecchi finiti in un hamburger, razze come la rossa reggiana, animale fino a pochi anni fa da lavoro, oggi ingrassata nel modo giusto, una vera prelibatezza. È grazie a queste persone che si riscopre un mondo finito nel dimenticatoio!»


Dove aprirebbe un suo ristorante in questa terra e come se lo immagina?

«Forse non farei più questa scelta; un nostalgico innamorato come il sottoscritto farebbe troppa poesia e la poesia al giorno d’oggi non ripagherebbe gli sforzi di una vita intera per scrivere un pezzo di storia della cucina italiana».


C’è un piatto della tradizione che soddisfa la sua attenzione per i dettagli e il rigore gastronomico e a quale prodotto regionale non riesce proprio a rinunciare nella sua cucina?

«Sicuramente la lasagna, oggi forse possiamo dire che ha preso il posto della pizza, la vediamo nelle sue molteplici sfaccettature in tutti i menù del mondo, in tutte le versioni del mondo, una vera icona gastronomica. Il prodotto regionale al quale non riuscirei mai a dire non ti uso più? Il parmigiano reggiano».


A MasterChef come viene esaltata l’importanza della cucina regionale?

«A MasterChef si parte dalla cucina regionale per spaziare in una cucina creativa, finendo anche in una cucina regionale di altri continenti. Esiste un inizio ma non c’è mai una fine, la creatività ci spinge alla ricerca di nuovi tagli, di nuovi accostamenti di colori e sapori, l’importante è ricordarsi da dove si è partiti; il bello della cucina italiana è che da Bolzano a Palermo la regionalità cambia di casa in casa. Forse ci stiamo accorgendo solo ora, e quindi dopo MasterChef, che siamo un Paese di chef».

 

Nella foto in alto: Lo chef Bruno Barbieri, giudice di MasterChef e autore del libro Via Emilia, via da casa