Non c’è da fidarsi di uno chef magro. Suona così il titolo dell’edizione americana del primo libro di Massimo Bottura. Ci scherza su, ma non c’è da preoccuparsi, nel cuore dello chef c’è sempre il tortellino

Lo chef Masimo Bottura

Never trust a skinny Italian chef” – in italiano Vieni in Italia con me – è il primo libro di Massimo Bottura. Il volume si snoda lungo la sua carriera venticinquennale e rende omaggio ai suoi successi e all'evoluzione dell'Osteria Francescana. All’interno, 48 ricette accompagnate da testi che svelano le ispirazioni, gli ingredienti e le tecniche di Bottura, ma anche un percorso filosofico, nel quale lo chef ci introduce al concetto di tradizione in evoluzione: ecco allora il bollito misto emiliano trasformarsi nello skyline minimalista di Central Park e l'ossobuco assumere i tratti essenziali di uno yin yang.

Chi conosce il mestiere di Bottura sa bene che le influenze sono chiaramente artistiche, non solo nelle presentazioni ma anche nella vera e propria creazione e ideazione del piatto. Sono proprio queste influenze che spiegano anche il dialogo, che fa da incipit al libro, tra lo chef e uno degli artisti italiani più noti, Maurizio Cattelan. È da qui che partono e si diramano le contaminazioni e le ispirazioni che poi danno vita a piatti come Oops! Mi è caduta la crostatina al limone. Ma nel cuore dello chef tre stelle Michelin, nonché presenza perenne nei primi tre posti della 50 Best Restaurants, c’è appunto la tradizione, più precisamente quella emiliana e modenese. La chiave di volta però è chiara: non si tratta di un’accezione nostalgica, conservativa, ma evolutiva e di rinascita.


Come cambia il suo menu a mano a mano che cambiano le stagioni?

«Le stagioni mostrano nuovi prodotti, dando nuovi stimoli e riportandomi a ricordi differenti. È fondamentale seguire il più possibile la qualità del prodotto e la piacevolezza del pasto che sono indissolubilmente legate al passare delle stagioni».


Tantissimi ristoranti hanno una carta abbastanza statica. Lei cosa ne pensa?

«L’Italia è divenuta famosa grazie alla qualità dei propri prodotti e tutti dovrebbero esserne consci senza doversi sentire vincolati a mantenere la tradizione in una teca da museo, è la nostra consapevolezza che rende viva la tradizione».


Nella sua cucina che spazio occupa la tradizione? Come la comunica a chi assaggia i suoi piatti?

«Ho un menu che si chiama Tradizione in evoluzione: la tradizione è un punto di partenza che le nostre idee rendono contemporanea».

Come spiegherebbe l’Italia a chi non c’è mai stato e cosa farebbe vedere a chi accetta il suo invito?

«L’Italia è una collezione di campanili, di famiglie, di tradizioni narrate attraverso i nostri piatti. Un territorio da scoprire pezzo per pezzo perché come diceva Soldati, la cucina è il modo migliore per scoprire un territorio perché in essa c’è tutto: l’agricoltura, la geografia, la pesca e la pastorizia oltre che l’artigianato».

Sembrate molto diversi – lei molto serio mentre Maurizio un po’ pazzoide -. Com’è nato il dialogo con Cattelan? Quali sono gli spazi in cui arte e cucina si sovrappongono?
«Maurizio è un artista che ho sempre amato molto, comprai i suoi “Turisti” nel 1997, ora alcuni suoi piccioni sono esposti nel mio ristorante. Chi avrebbe mai pensato allora che Maurizio sarebbe diventato un’icona dell’arte contemporanea e io uno dei riferimenti della cucina? L’arte è una delle mie fonti di ispirazione più grande: a Modena non abbiamo paesaggi di montagna né abbiamo il mare. Quello su cui ci affacciamo è un paesaggio di idee e di arte contemporanea da cui mi faccio continuamente influenzare per creare i miei piatti».

 

Nella foto in alto, lo chef Massimo Bottura