Nulla viene dimenticato ma tutto viene trasformato. Questo è uno dei motti della cucina di Errico Recanati, lo chef che rivisita i piatti della tradizione ricordando l’infanzia

Errico Recanati, chef marchigiano

La sua passione per la cucina nasce dall’esserci nato dentro. E proprio questo gli ha dato l’amore per quei profumi che ricerca ogni giorno, che ravvivano i ricordi lontani dell’infanzia ma che sono sempre presenti e attuali. «Penso subito a mia nonna, che con la sua cucina mi ha trasmesso ricordi di odori e di sapori frutto delle cotture tradizionali marchigiane: il salmì, il potacchio, lo spiedo. Da qui scaturisce la passione per il mio lavoro e la gratificazione più grande giunge alla fine della ricerca, quando tutti gli ingredienti sono in armonia, si esaltano a vicenda, facendo riconoscere ogni singolo elemento senza che l’uno sovrasti gli altri».


Parliamo della genesi delle sue ricette e dei suoi piatti. A cosa si ispira?

«La fonte è la ricerca sul territorio e sulla storia dei piatti. Parto dai ricordi, dalla terra e dagli abbinamenti che possono esprimere, con particolare attenzione alla stagionalità e a ciò che ogni giorno c’è di fresco. Poi comincio a lavorare sull’idea, ricercando diverse consistenze, utilizzando cotture tradizionali supportate anche da nuove tecniche. Per i nomi invece gioco un po’: talvolta sono diretto e utilizzo nomi brevi che siano in grado di sintetizzare il piatto; in altri casi cerco di incuriosire il cliente, facendo scoprire qualcosa dal nome, lasciando però un po’ di curiosità».

Qual è il suo rapporto con la tradizione?

«Tutto parte da lì, poi ci metto un po’ di estro, cerco di mantenere intatti i sapori magari alleggerendo i piatti dai condimenti più untuosi e ricchi che in passato si era solito usare. Ho attualizzato, ad esempio, i crostini di patè e di caccia che mio nonno cacciatore mi faceva assaggiare da piccolo, proponendo nel mio menu tre patè di diverse consistenze utilizzando la cacciagione con una composta di cipolle e maggiorana, i fegatini di bassa corte con panatura di graniglia di pistacchi e, infine, un patè di fegato d’oca arrostito e farcito di burrata e visciole».

Qual è il piatto di carne che più la rappresenta?

«Tutto ciò che è carne, cacciagione fa parte del mio dna. Le cotture allo spiedo e alla brace, compreso l’utilizzo della cenere, sono tecniche popolari che amo e cerco di utilizzare sempre con maggiore frequenza. Nel periodo invernale, ad esempio, propongo il coniglio alla brace ripieno di castagne ed erbe di campo, la zuppa di cipolla cotta sotto la cenere con quadratini di faraona e fegato grasso, oppure nella stagione attuale i pennoni con frattaglie di agnello cotte alla brace, la faraona sopra e sotto i carboni o il baccalà cotto sotto la cenere».