Il mondo del vino visto attraverso la lente della macchina fotografica. l’incontro tra due arti che il patron di Ca’ del Bosco, Maurizio Zanella, aveva sempre sognato
Nella selezionata cerchia dei vini italiani che appartengono alla nobile casata dei Docg, solo tre occupano una posizione così eminente da potersi concedere il lusso di omettere la rinomata sigla sull’etichetta. Diventa pleonastica, ad esempio, quando sul proscenio sale il Franciacorta, capolavoro a bollicine che sgorga dalle uve coltivate a due passi dal lago d’Iseo. E allora non suona neppure così ardita la scommessa culturale che a fine anni Ottanta Maurizio Zanella lanciò dal suo avamposto di Erbusco, immerso nelle colline bresciane: aprire la sua azienda vitivinicola, svezzata e cresciuta con mano garbata, a undici tra i migliori fotografi mondiali e trasformarla nel libro “11 fotografi 1 vino”. Una favola per immagini dove a narrare non è una voce, ma decine di scatti d’autore che tra vigneti, fasi della vendemmia e cantina, suggellano l’elegante sodalizio tra vino e fotografia. Celebrata nel “tempio” di Ca’ del Bosco, a officiare le nozze fra le due arti fu il patron Zanella che di quei giorni, coronati anche da una mostra alla Triennale nel 2004, conserva un vivido ricordo.
Vino e fotografia: due mondi apparentemente distanti che lei è riuscito a fondere.
«Devo dire che ho sempre amato la fotografia a livello amatoriale. Non sono un esperto, ma mi piaceva, avevo alcuni libri, andavo a vedere mostre per approfondire la materia. Ebbi la fortuna di conoscere fortuitamente a Los Angeles Helmut Newton, all’apice della carriera e pertanto quasi inavvicinabile economicamente. Ci trovammo quasi per caso allo stesso ristorante e chiacchierando, non so ancora come, gli strappai la promessa che sarebbe venuto a trovarmi non appena fosse venuto in Italia per lavoro. Lui mantenne la parola. La tenuta e il paesaggio gli piacquero molto e allora io gli esposi la mia idea di fare un servizio assolutamente non pubblicitario, sganciato dal brand Ca’ del Bosco, ma legato al vino e al suo valore artistico».
Una spassionata dichiarazione di amore per l’arte senza fini promozionali.
«Fu l’unico vincolo che posi, innanzitutto perché si trattava di una mossa a metà tra la scommessa e il gioco. In un secondo tempo, raggiunto faticosamente un accordo economico che per noi fu molto impegnativo, vista l’epoca e le dimensioni aziendali ancora ridotte, Newton scattò le sue foto. Non appena le visionammo e ci rendemmo conto della qualità e del fascino delle immagini, pensammo di chiamare ogni anno un fotografo importante».
Con quale criterio fece il “casting”?
«Il primo fotografo fu scelto proprio da Newton, al quale chiesi consiglio. In seguito a ogni fotografo chiedevo nomi di colleghi di fama mondiale che avrebbero potuto partecipare al progetto. Un metodo semplice che per undici anni ha portato qui fotografi di riconosciuto valore mondiale e che nell’ottobre del 2004 culminò in una mostra alla Triennale di Milano dove vennero esposti gli originali di tutte le fotografie, raccolte poi nel volume “11 fotografi 1 vino”, che fece anche da catalogo ufficiale dell’esposizione».
Nel libro le immagini sono tutte in bianco e nero. C’è un risvolto artistico dietro questa scelta?
«È stata un’impostazione iniziale dettata dalle caratteristiche dei fotografi. L’unica eccezione è stata Franco Fontana, che conoscevo a prescindere dal progetto. Ma anche lui, sebbene unanimemente considerato un “maestro del colore”, ha accettato di scattare in bianco e nero proprio in nome dell’antica amicizia. E la conseguente pubblicazione, a detta di Skirà che lo editò, ottenne un successo editoriale insperato perché laddove i libri di fotografia erano considerati dei best seller quando raggiungevano le 1.000 o le 1.500 copie vendute, il nostro sfiorò le 3.000, “costringendoci” a fare una seconda ristampa».
Un successo, anche commerciale, che paradossalmente ha premiato il taglio anti commerciale del suo progetto. C’è di che essere orgogliosi.
«Resistere alla tentazione di “sfruttare” fotografi così importanti per veicolare in grande stile l’immagine del mio prodotto credo sia l’unico merito che forse sento di attribuirmi. Se non avessi avuto questo tipo di sensibilità nel prediligere un servizio non promozionale probabilmente un certo mondo della cultura e della fotografia non si sarebbe avvicinato a queste foto. Una scelta in chiave artistica che credo abbia pesato anche nel successivo approdo alla Triennale e nella parte di foto presenti al Museo di arte contemporanea di Tokyo».
Come avvenne la scelta degli oggetti da fotografare?
«Chiesi a ciascuno di scattare in base alle personali attitudini. Ad esempio, lo svizzero Gester, un pazzo scatenato che si appendeva con delle funi fuori dagli elicotteri, era il più bravo nelle foto dall’alto e quindi si occupò delle vedute aeree. Per le foto drammatiche e toccanti nei vigneti il prescelto fu Don McCullin, famoso per le foto di guerra. I ritratti delle persone furono invece affidati ad Alice Springs, compagna di Newton e specializzata in questo tipo di soggetti. Insomma, tutti prestarono la loro arte a seconda di ciò che li appassionava».
Nella foto in alto: Maurizio Zanella, fondatore dell’azienda vinicola Ca’ del Bosco