«L’architettura della cantina deve essere segno dell’attenzione posta nella ricerca di un equilibrio fra l’uomo e il territorio». L’esperienza di Mario Botta

Vista frontale della cantina Petra che mostra il cilindro centrale tagliato da un piano diagonale posto parallelo alla collina e le ali laterali porticate dove sono collocate le botti

Ha avuto modo di progettare tre cantine, Petra in Italia, Château Faugères in Francia e Moncucchetto in Svizzera. Guardando alle esigenze architettoniche di questi luoghi e alla ricerca di una soluzione costruttiva che le esprimesse al meglio, l’architetto Mario Botta sottolinea come oggi si chieda di progettare cantine con le stesse attese che un tempo erano riservate ad altri temi nobili quali i musei, le biblioteche, i teatri, dove l’aspetto d’immagine è ritenuto importante quanto l’aspetto funzionale e tecnologico.
«La realizzazione di una cantina – spiega Botta – richiede di divenire “segno” capace di valorizzare il nuovo prodotto nato dalla felice alleanza tra uomo e natura». La cantina Petra si inserisce nelle pendici della montagna e, al centro del lungo fronte allungato che segue l’andamento del terreno, si innalza dalla quota di ingresso un volume cilindrico rivestito di pietra. Il cilindro accoglie le attività primarie della cantina: al centro i serbatoi per la vinificazione, mentre ai livelli superiori si articolano le aree per l’uva vendemmiata, la zona pigiatura e le attività legate alla produzione e ai controlli. Al pianoterra, nella profondità oltre il nucleo centrale, si trova lo spazio riservato alle botti in rovere per l’invecchiamento del vino.

 

L’architetto Mario Botta
L’architetto Mario Botta

Come dunque l’architettura si pone al servizio dell’enologia?

«Un aspetto che connota significativamente il nostro tempo è la maggiore attenzione nei confronti delle architetture e delle costruzioni adibite alla lavorazione del vino. Le strutture obsolete, cantine o capannoni, stanno lasciando spazio a una nuova stagione di “contenitori”. La cantina, intesa come spazio per la lavorazione e l’invecchiamento del vino, risale a tradizioni antichissime, pertanto è qualcosa di radicato nella nostra cultura. Il prodotto “vino” è una sintesi fra la terra (e le sue risorse) e il lavoro dell’uomo. L’architettura della cantina deve testimoniare questo aspetto ed essere segno dell’attenzione posta nella ricerca di un equilibrio fra l’uomo ed il territorio che diventa parte della nostra storia e della nostra identità».


Ha dichiarato «quando Vittorio Moretti mi chiese di disegnare questa cantina per i nuovi vigneti di Suvereto, mi è parso di capire che al di là degli aspetti funzionali cercasse soprattutto un’immagine capace di comunicare la passione e l’impegno». Come c’è riuscito?

«Ho ritenuto che la forte immagine plastica potesse risultare di grande fascino e riuscisse a trasmettere la ricerca dell’equilibrio tra la qualità pragmatica di un edificio creato a misura del ciclo produttivo e l’aspetto estetico di un luogo che nasce come espressione del territorio da cui trae identità. Il cilindro sezionato si presenta come anello di pietra sopra il territorio coltivato, un volto totemico nuovo e nel contempo arcaico; una forma compiuta, un’immagine che crea un contrappunto geometrico che si confronta con l’andamento organico della superficie ondulata dei vigneti che lo circondano».


Il complesso architettonico come si inserisce nel paesaggio e come è riuscito a rappresentare la vocazione territoriale, l’attenzione alla qualità della vita e la cultura dell’ospitalità?

«L’intento progettuale è quello di entrare in armonia con il genius loci. L’opera di architettura è un’opera di trasformazione di una condizione di natura in una condizione di cultura. Si tratta di cambiare un equilibrio esistente per crearne uno nuovo o comunque diverso, sempre nel rispetto del territorio nel quale si inserisce il manufatto. L’intera organizzazione interna di Petra è creata e realizzata al servizio delle uve e nel massimo rispetto del ciclo naturale di vinificazione. Il tutto senza rinunciare però al fascino e al valore di un’opera di architettura, nel tentativo di donare una migliore qualità della vita. La cultura del vino come cultura dell’ospitalità si evidenzia anche nella precisa scelta di ricavare una lunga galleria che penetra la montagna fino ad arrestarsi di fronte ad una parete di roccia nel cuore della collina. Questo spazio diventa un luogo dove le persone possono incontrarsi e degustare le ricchezze prodotte dal territorio. Metaforicamente costituisce anche un percorso che porta idealmente verso il ventre della montagna, un cordone ombelicale che ci lega alla madre-terra».


Come lei stesso ha dichiarato, il progetto vuole essere una reinterpretazione delle antiche dimore toscane di campagna. Quali gli elementi che più le richiamano?

«Nelle antiche dimore di campagna toscane il disegno delle coltivazioni, in questo caso i vigneti, era parte integrante del disegno architettonico. Il cilindro in pietra del corpo centrale e le due ali laterali connotano un “grande fiore” che si estende lungo tutta la collina. L’orografia collinare e ondulata del suolo si offre allo sguardo con tracciati regolari che disegnano scenari destinati a modificarsi lentamente da fine inverno fino ai raccolti autunnali. Il disegno razionale creato dalla trama geometrica della vigna fa da cornice al manufatto ed evidenzia la misura, la bellezza e la profondità del paesaggio pazientemente costruito anche attraverso il lavoro dell’architetto».

 

Nella foto in alto, vista frontale della cantina Petra che mostra il cilindro centrale tagliato da un piano diagonale posto parallelo alla collina e le ali laterali porticate dove sono collocate le botti