Questa è la missione che, secondo Massimiliano Giansanti, deve darsi il comparto primario italiano. Aprendosi a nuovi mercati sui quali «far valere qualità e competitività» e valorizzando il potenziale “bio” delle imprese

Considerare gli accordi commerciali come opportunità da cogliere, per allargare il perimetro di mercato «al mondo intero». È la ricetta che il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti indica alla filiera del primario per sottrarre le produzioni agroalimentari a un mercato delle commodities sotto pressione per via dei dazi imposti, ad esempio, dall’amministrazione Trump. «Gli Usa, assieme alla Gran Bretagna – sottolinea Giansanti - ce la stanno mettendo tutta per allarmare il made in Italy. Per questo vanno tenuti aperti, con attenzione, i canali di comunicazione cercando di trovare soluzioni, scoraggiando protezionismi ed evitando irrecuperabili posizioni di contrasto».
Anche perché, al netto della questione dazi, il nostro export agricolo sta marciando a passo sostenuto. Quali livelli ha raggiunto?
«L’export agroalimentare, nel 2017, è aumentato del 6,8 per cento rispetto all’anno precedente, superando i 40 miliardi di euro. Il Regno Unito è per noi un mercato importantissimo e le esportazioni verso gli Usa sfiorano i 4 miliardi di euro, con significative percentuali di crescita negli ultimi anni».
Cosa occorre fare per difendere questo trend?
«Il sistema agro-alimentare italiano ha bisogno di mercati aperti sui quali far valere qualità e competitività, che vanno gestiti sulla base del principio di reciprocità in termini di sicurezza alimentare, protezione dell’ambiente e tutela sociale».
Tuttavia nel 2018 due ondate di gelo siberiano hanno determinato una partenza in salita per l’agricoltura italiana. Come hanno impattato sulle performance dei nostri campi?
«È un periodo difficile, questo, per gli agricoltori. Prima il freddo intenso, con temperature scese anche molto sotto zero, poi la neve e le piogge. Nelle campagne italiane si contano i danni. A perdere fino al 90 per cento della produzione sono state le ortofrutticole di stagione, le varietà precoci di pesche, nettarine e albicocche, ma flessioni medie del 15-20 per cento le hanno subite anche le fragole, scarole, radicchi e finocchi. Problemi anche per le aromatiche dalla “foglia tenera” e per gli impianti produttivi, soprattutto per le piante in risveglio vegetativo. A dura prova è stato messo anche il patrimonio olivicolo, con fenomeni di congelamento e lacerazioni delle foglie e dei rami più giovani».
Nelle scorse settimane avete annunciato l’impegno del mondo agricolo anche sul versante delle energie green, in un’ottica di economia circolare. Quale ruolo può svolgere in questo percorso di ecosostenibilità?
«L’agricoltura ha un ruolo fondamentale per l’economia circolare e l’energia. La bioeconomia guarda al futuro, mettendo insieme l’agribusiness delle imprese agricole e alimentari, di quelle forestali e dell’acquacoltura, l’innovazione tecnologica e la sostenibilità ambientale, i territori, il green job. In Italia rappresenta, in complesso, circa 270 miliardi di euro e oltre 2 milioni di occupati: di fatto è la prima economia del Paese. Confagricoltura è impegnata da anni su questa strada che fa bene alle aziende e all’Italia. Per quanto riguarda, in particolare, la green energy e i biocarburanti siamo pronti a produrre 8 miliardi di metri cubi di gas naturale entro il 2030, moltiplicando di una volta e mezzo la capacità produttiva del nostro Paese».
In un recente incontro a Bruxelles ha invitato l’Europa a sostenere il rinnovamento aziendale, investendo su tecnologie smart e agricoltura di precisione. Come deve intervenire la Pac in questo ambito?
«Bioeconomia, agroenergie, digitalizzazione e agricoltura di precisione sono la scommessa del futuro, che la Pac dovrà sempre più sostenere con la riforma “post 2020”. Danno un forte contributo in questo senso, attraverso il risparmio energetico e un utilizzo più ridotto e mirato dell’acqua e della chimica. Attualmente solo l’1 per cento della Sau in Italia vede l’impiego di mezzi e tecnologie di precision farming, ma l’obiettivo nazionale è raggiungere il 10 per cento entro il 2021. La prossima sfida è la gestione dei dati raccolti dalle imprese agricole e dalle diverse filiere».