Attraverso dibattiti, esperienze “sul campo” e una marcia colorata tra i padiglioni, Slow Food ha fatto da megafono al grande messaggio di Expo. Ce lo racconta Gaetano Pascale

Dal suo avamposto situato all’estremità orientale del Decumano, ha calamitato l’attenzione dei visitatori con un panel di appuntamenti costruiti intorno a un unico, ma universale messaggio: assicurare un cibo buono, pulito e giusto agli esseri umani e alla Terra. È questa la missione che Slow Food porta avanti ormai da 30 anni e che nell’Expo di quest’anno ha trovato una ribalta speciale per quelli che secondo Gaetano Pascale sono «i veri protagonisti» di un nuovo, possibile, paradigma agricolo e alimentare. «Abbiamo voluto portare a Milano tutti i contadini, pescatori, allevatori e artigiani del cibo – spiega il presidente di Slow Food Italia – che ogni giorno coltivano il nostro cibo e contribuiscono concretamente a nutrire il pianeta».
Come si è inserita la loro presenza nel vostro percorso studiato per l’Esposizione?
«Il percorso ideato nello spazio Slow Food ha voluto affrontare le principali tematiche legate al mondo della biodiversità in modo diretto, semplice e divertente, con analisi sensoriali, fotografie e oggetti giganti che rappresentano alcuni tra i cibi industriali più conosciuti. Simbolo dello spazio è comunque il grande orto che è cresciuto in questi sei mesi dando prodotti meravigliosi, permettendo ai visitatori di capire il ciclo delle stagioni e rappresentando il lavoro fondamentale di tutti coloro che ogni giorno coltivano la terra e fanno arrivare il cibo sulle nostre tavole».
All’interno dello Slow Food Theater avete proposto centinaia di dibattiti attorno ai grande temi del cibo, dell’agricoltura sostenibile e della biodiversità. Quali appuntamenti hanno riscosso il maggior interesse?
«In termini di interesse, hanno riscosso successo gli appuntamenti dedicati all’agrobiodiversità locale e alla sovranità alimentare, alcuni dei quali vedevano la partecipazione di partner che, su questi temi in particolare, sono molto autorevoli. Fra questi voglio ricordare Cesvi, Altromercato, Expo dei popoli. Sono stati molto partecipati anche gli appuntamenti organizzati dalla rete di Slow Food sui territori, dedicati spesso alle filiere dei prodotti locali, come, per esempio, il format di Slow Food Lombardia “Sopralapanca” sulle razze e i formaggi di capra».
A Expo avete realizzato un’edizione speciale di “Terra Madre Giovani”. Come si è articolato l’evento e che risposta ha dato in termini di partecipazione?
«Terra Madre Giovani – We Feed the Planet è stata la risposta di Slow Food ai temi dell’Esposizione universale. Insieme alla Rete Giovani di Slow Food, la Fondazione Terra Madre e l’Università di Scienze gastronomiche abbiamo organizzato un appuntamento dedicato a 2500 giovani under 40 provenienti da 120 Paesi. L’evento è stato reso possibile grazie al sostegno del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Fondazione Cariplo, Compagnia di San Paolo e molti altri partner. Sono stati quattro giorni di dibattiti, confronti, conferenze e scambio, culminati con una grande e colorata marcia all’interno di Expo fino al padiglione Slow Food».
Voi che l’Expo l’avete vissuto da dentro, che sensibilità avete colto fra i visitatori rispetto al tema di fondo della manifestazione “Nutrire il pianeta, Energia per la vita”?
«I visitatori venuti a Expo alla ricerca di risposte concrete e soluzioni per nutrire il pianeta in modo sostenibile sono stati moltissimi. Lo testimoniano i messaggi lasciati sul nostro Albero del cibo, la curiosità dimostrata verso la mostra Scopri la biodiversità e l’affluenza ai nostri incontri nello Slow Food Theater. Considerando però che stiamo parlando di un evento che ha avuto milioni di visitatori, è difficile stabilire adesso quanto sia stato educativo nel complesso. Probabilmente lo scopriremo un po’ più avanti, quando capiremo in che misura e in che direzione saranno cambiati i comportamenti delle persone nei confronti della spesa alimentare».
Dal lato dei Paesi espositori invece, quali a suo parere hanno saputo interpretare meglio il senso della manifestazione avvicinandosi in qualche modo anche ai prìncipi di Slow Food?
«Non credo stia a noi giudicare il lavoro fatto dagli altri padiglioni. Sicuramente ogni Paese ha cercato di interpretare al meglio i temi al centro dell’Expo e forse qualcuno ci è riuscito meglio di altri. Menzione d’onore va al padiglione della Santa Sede, diretto ed essenziale. Così come credo che anche il padiglione della Svizzera si sia fatto portatore di messaggio importante che ci invita a non essere avidi, se non vogliamo che le generazioni che verranno dopo restino senza cibo e senza risorse ambientali»
Due “insegnamenti” che si augura che Expo possa lasciare in eredità alle generazioni (e alle istituzioni) future?
«Spero che la Carta di Milano si trasformi in uno spunto di riflessione propositivo, in grado di segnare la strada nei prossimi anni. Per farlo però è fondamentale una forte volontà politica che coinvolga la società civile e le molte associazioni che ogni giorno si battono per un cibo buono, pulito e giusto. Se il tutto invece si riassumerà semplicemente in un bel documento dimenticato in un cassetto, allora si vanificheranno gli sforzi di chi, come noi, ha cercato di focalizzare le energie sul tema Nutrire il pianeta».
Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia