La cessazione del regime comunitario delle quote latte cambia lo scenario internazionale. Giuseppe Alai ci indica le sfide più rilevanti per il Consorzio del Parmigiano Reggiano
Il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha compiuto ottant’anni. «Era il 26 luglio 1934 quando i produttori del formaggio chiamato con i nomi di “Parmigiano” e "Reggiano” fondarono il Consorzio volontario interprovinciale fra produttori del formaggio “Grana tipico”».
Per concludere le celebrazioni di questa ricorrenza a fine gennaio è stato organizzato nella Rocca di Soragna, dove venne firmato l’atto che diede vita al Consorzio, il convegno “Il Parmigiano Reggiano e lo scenario post quote latte: il ruolo del Consorzio di tutela”. «Oggi, come 80 anni fa, negli anni successivi alla forte crisi economica del 29 -, ha dichiarato il presidente del Consorzio Giuseppe Alai - di fronte alle debolezze che affliggono il sistema, c’è bisogno di costruire nuovi scenari».

A Soragna è intervenuto anche il ministro Maurizio Martina. Qual è stata la sua posizione e quali le richieste avanzate dal Consorzio al Governo?
«Il ministro ha sottolineato come occorra far leva su due punti di forza: l’interprofessione nel sistema latte e formaggio e il rafforzamento dei consorzi di tutela in uno scenario che cambia e va riletto con una visione aperta. Da gestire con attenzione è non solo il mercato interno ma soprattutto internazionale. Al Governo, proprio in riferimento a questo, chiediamo una sorta di accompagnamento sui mercati esteri che ci consenta di aumentare le esportazioni e una maggiore tutela della denominazione del nostro prodotto, per difenderlo dalle imitazioni e dalle evocazioni o usurpazioni di nome. Ancora oggi il nostro nemico numero fuori dall’Unione europea è infatti il cosiddetto Parmesan. Occorre poi puntare sui sistemi di aggregazione che porteranno a un miglioramento di sistema di autogoverno del Consorzio».
Come è cresciuta l’importanza del Consorzio negli anni e come è cambiato o cambierà ancora il suo ruolo?
«Il Consorzio ha avuto un ruolo egemone per i caseifici, tant’è che ogni altra iniziativa sorta a lato non ha mai trovato il gradimento atteso. In futuro dovremmo orientarci in una logica di mercato libero nella produzione e affrontare sfida di tipo culturale per fronteggiare una nuova competitività internazionale. Ci sono parecchie insidie e pericoli dietro alla cessazione del regime delle quote latte perché si passerà da produzioni oggi contingentate per legge, a produzioni libere legate a condizioni climatiche o economiche della produzione. Sarà un mercato globale, quello che ci vedrà impegnati, dentro al quale sarà necessaria la consapevolezza di essere una sorta di fabbrica unica, con un marchio ombrello per la difesa del nostro prodotto.
È importante dunque costruire una visione di sistema per fronteggiare la concorrenza. Questi 10 anni della mia guida al Consorzio sono stati contraddistinti quasi interamente dalla crisi economica e da una contrazione dei consumi interni e questo ha portato alla creazione di nuove metodologie di promozione del nostro formaggio e la ricerca di nuovi mercati esteri».
Guardando all’estero invece su quali mercati occorre puntare?
«Dapprima abbiamo seguito i mercati in cui emigravano gli italiani, quindi Francia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti. Poi ci siamo accorti che ci sono anche altri grandi paesi emergenti, molto attenti alla cultura del food italiano, dove c’è un richiamo all’Italian sounding. Il nostro interesse si è dunque esteso ad Asia, Giappone, Cina, Corea, America del sud e continuerà a essere rivolto verso tutti i Paesi che hanno un’economia in crescita».