L’extra vergine trova la sua culla nella regione più sudorientale d’Italia. Che tra epidemie di Xylella e prezzi imposti dalla grande distribuzione fatica a mantenere profitto e qualità. Ne parla David Granieri, presidente di Unaprol

Il territorio pugliese è naturalmente votato alla coltivazione e produzione di alcune delle eccellenze del nostro made in Italy. Tra queste, certamente spicca l’olio extra vergine d’oliva. Tra i vettori principali per la commercializzazione di questo prodotto c’è la grande distribuzione, dove lo scorso anno sono stati venduti 154 milioni di litri di extra vergine, per un valore di 634 milioni di euro; 2,9 milioni di litri di oli Dop/Igp; 2 milioni di oli bio e 22 milioni di 100 per cento italiano. Le vendite nella Gdo, soprattutto di extravergine, si concentrano al centro Italia e Sardegna (33 per cento) e al Nord (48). Al Sud si vende il 19 per cento. Nel confronto con il 2013 si registra una progressione del 7 per cento per gli oli a denominazione e per i bio si osserva una crescita del 9.
A rendere questo scenario meno profittevole, però, è lo scarso monitoraggio del prezzo, soprattutto a causa delle promozioni. Così infatti è stato venduto il 66 per cento del volume di extra vergine. David Granieri, presidente di Unaprol, su questo ha delle osservazioni. «Nella Gdo bisognerebbe incentivare maggiormente le politiche di differenziazione in grado di valorizzare le produzioni. Serve porre l’accento su una maggiore segmentazione di mercato, che consenta di rispondere ai bisogni più evoluti dei consumatori».

Il presidente di Unaprol-Consorzio Olivicolo italiano, David Granieri
Il presidente di Unaprol-Consorzio Olivicolo italiano, David Granieri

Il 40 per cento dell’olio tracciato è made in Puglia. Cosa significa per la qualità del prodotto?

«Un grande traguardo e un grande orgoglio. La metà dell’olio tracciato italiano parla pugliese. Questo premia gli sforzi compiuti dagli olivicoltori pugliesi per garantire al consumatore mondiale un prodotto certificato, con garanzia di origine certe che ricostruisca per il mercato mondiale la storia del prodotto, delle aziende che lo lavorano e dei territori che lo producono».


Quali gli ultimi dati sull’export e le destinazioni più importanti per questo prodotto?

«Secondo Ismea nel primo trimestre 2015 l’export, anche a causa delle scarse disponibilità interne non totalmente compensate dalle importazioni, ha segnato una battuta d’arresto in volume. Di contro, complice l’incremento dei listini, gli introiti sono aumentati del 6 per cento. Nonostante disponibilità produttive tutt’altro che abbondanti, si registra un segno positivo sia in quantità che in valore. In questo periodo sono state scambiate 540 mila tonnellate, il 4 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, per un giro di affari cresciuto di 32 punti percentuali. A pesare sulla crescita del valore degli scambi sono stati, chiaramente, i listini alla produzione a causa della scarsa produzione della scorsa annata. A sostenere la domanda sono stati tutti i tradizionali Paesi importatori, Italia in testa, ai quali si è aggiunta anche la Spagna che ha acquistato all’estero ben 63 mila tonnellate. Nel 2014 i mercati di sbocco più interessanti sono stati: Usa, Canada, Giappone e Russia».


Quanto sta incidendo l’epidemia di Xylella fastidiosa nelle coltivazioni pugliesi?

«La vicenda è emblematica ma dobbiamo fare chiarezza ed evitare allarmismi. Non esiste un olio contaminato da Xylella e quindi i problemi possono essere di altro tipo. Il problema esiste e va affrontato con i mezzi a disposizione dalla ricerca scientifica. L’Italia e l’Europa si stanno muovendo con grandi sforzi e con grande competenza. Il problema non è del Salento ma è un problema europeo e mondiale. Vanno salvaguardate le richieste legittime delle aziende ma va anche tutelato il patrimonio di ricchezza che ruota intorno all’olivicoltura con interventi di contenimento della batterio».


Quali misure ha adottato la Commissione per prevenire l’ulteriore diffusione sul territorio dell’Unione?

«L’intera provincia di Lecce, dichiarata zona infetta, è sottoposta a misure di contenimento ed è circondata da un’ampia zona cuscinetto di 20 km esente dal batterio. Una zona di sorveglianza intensificata deve assicurare l’individuazione precoce di nuovi focolai. Una zona delimitata specifica (zona infetta + zona cuscinetto) è stata inoltre stabilita attorno al nuovo focolaio di Oria, nella provincia di Brindisi, in cui si applicano rigorose misure di eradicazione. Inoltre, la Commissione europea è in stretto contatto con le autorità francesi per ottenere maggiori dettagli sul caso di Xylella fastidiosa riscontrato in Corsica».


E i produttori come si tutelano?

«Vi sono misure per indennizzare in qualche modo le imprese colpite dalla batteriosi. Un cofinanziamento fitosanitario dell’Ue potrà essere concesso per l’attuazione dei programmi di sorveglianza, eradicazione e contenimento. Il contributo finanziario dell’Ue per indennizzare i proprietari del valore delle piante distrutte sarà però possibile soltanto a partire dal 2017 ed è attualmente in discussione un sostegno finanziario aggiuntivo nel quadro della politica agricola comune dell’Ue. A questo proposito è stato messo in atto un bando di gara per la ricerca sulla Xylella fastidiosa all’interno di Horizon 2020, che intende migliorare le conoscenze sul batterio e sviluppare opzioni per la prevenzione e la valutazione del rischio».